venerdì 10 agosto 2012

Recensione di Emanuele Berardi su Dazebao News

Nello “Statuto dei gabbiani” (Milieu edizioni) Pralina Diamante, ultima compagna di Horst, ricostruisce parte di un furia giudiziaria lunga quasi una vita mettendo insieme poesie, racconti e interviste provenienti dalle celle di Fantazzini e articoli di cronaca scritti fuori le mura di carceri in fiamme o tenute sotto mira da tiratori scelti. La storia giudiziaria del detenuto Fantazzini è un racconto fatto di lotte cruenti e “gallerie scavate verso la libertà”. Gesta di ribelli tenute segrete di una storia, quella delle rivolte carcerarie, relegata ai margini degli anni di piombo. Il merito dello “Statuto dei gabbiani” è anche questo; riportare alla luce le cronache di lotte carcerarie contro la detenzione dura del famigerato articolo 90 capace di annientare la dignità del detenuto fino a renderlo “carceriere di se stesso”. Il carcere duro di quegli anni è fatto di improvvisi trasferimenti tra istituti penitenziari da un capo all’altro dell’Italia, cure sanitarie negate o rallentate ai limiti dell’efficacia terapeutica, permessi di colloqui con familiari negati all’ultimo momento. Nel luglio del 1973, a Fossano, dopo essersi visto recapitare in cella altri trenta anni di carcere che ne azzeravano più di venti già scontati, decide di passare all’unica azione dura della sua vita. Ferisce due guardie penitenziarie, ne prende in ostaggio altre due e si barrica nell’ufficio del direttore chiedendo cinque milioni di lire per coprirsi la fuga e un’auto con motore e luci accese. Questa volta le armi saranno tutte vere; carabine di precisione, pistole a canne lunghe, mitra. Verrà crivellato di colpi. Abbattuto. Non sarà risparmiato nemmeno Alf, il cane poliziotto, sguinzagliatogli contro all’ingresso di quel sogno rombante targato Cuneo, disperso nella nube di proiettili del fuoco di Stato. Quella giornata finirà con il corpo del detenuto Fnatazzini stramazzato in una pozza di sangue nel cortile del carcere accanto alle ruote di una Giulia, con il respiro appena percettibile, la mandibola fratturata, l’udito perso ad un orecchio e diversi proiettili disseminati per il corpo che gli terranno compagnia ancora per lunghissimi anni.
Attraverso gli scritti del superdetenuto Horst Fantazzini si entra in punta di piedi, quasi timidamente, in un mondo addirittura silenzioso, dove le fiamme delle moka esplosive, le mani sporche di sangue dei sorveglianti armati impegnati nei pestaggi, e le pale degli elicotteri dei Ros in volo stazionario sui tetti delle sezioni occupate dalle proteste, sono voce e pelle di un inferno combattuto anche con poesia e quiete letteraria. La penna del vecchio leone in gabbia, che sembra scrivere per il carcere e (non) dal carcere, racconta, restituendo colpo su colpo, trenta anni di storia penitenziaria italiana semiclandestina. Dalle proteste estreme condotte al fianco di brigatisti (seppur mantenendo e difendendo con rigore le propria natura anarchica) agli anni ottanta, caratterizzati da dissociazioni di massa e dall’inarrestabile e dilagante fenomeno del pentitismo, responsabile ultimo della svendita di massa della dignità umana, fino ad arrivare all’ultima mano di grigio della droga, che oltre che a seminare vittime anche tra vecchi compagni di lotta, portò presto ad unire sotto lo stesso tetto consumatori e spacciatori “lobotomizzati”, distratti, lontani da qualsiasi realtà e percezione di essa, “ognuno con la propria scimmia sulle spalle”.
La storia di Horst Fantazzini, al di là dell’umana disperazione, dimostra, assieme a centinaia di altre storie, che oggi come ieri “le nostre istituzioni sono lassiste e permissive solo nei confronti dei petrolieri, degli intrallazzatori d’alto borgo, dei bancarottieri internazionali, dei dissipatori di danaro pubblico, dei golpisti neri, dei militari nostalgici”. Gente introvabile in qualsiasi penitenziario in quanto strutture non progettate ad accogliere questo genere di fauna.
Il 21 dicembre 2001, all’età di sessantadue anni, durante il suo primo natale da semilibero, Horst tenterà la sua ultima rapina in bicicletta con un cutter e un collant in tasca. Arrestato, e con l’accusa di terrorismo, finirà di nuovo dietro le sbarre dove morirà la sera del 24 nell’infermeria della Dozza. Il cronometro della sua detenzione si sarebbe forse arrestato nel 2022.
C’è da scommetterci che quella sera, il vecchio leone, saltando ad occhi chiusi il suo ultimo muro trovò, sotto un immenso cielo stellato, la Giulia targata Cuneo con le luci e il motore ancora accesi.
“Sono libero, bastardi!”



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