giovedì 30 agosto 2012

Noi non pratichiamo la violenza, perché amiamo la VITA

Diranno sempre "Se avessi fatto, se avessi potuto..." diranno "Non ho più l'età per fare certe cose..." e poi "Quando ero giovane forse, ormai non posso più... a una certa età non si fa... alla mia età non sarebbe serio e conveniente farlo...", guarderanno con sospetto i vicini di casa, specialmente se sono stranieri oppure gay, disprezzeranno il lavoro che sono costretti a fare, odieranno i colleghi, sorrideranno al capo ufficio mentre pensano di volerlo morto, sopporteranno i familiari, metteranno le corna alla moglie e parleranno male del marito alle amiche, non sapranno mai che regali fare per Natale ma si metteranno in coda e in fila per ora per comperarli. Si riempiranno la bocca di luoghi comuni insulsi, frasi fatte, opinioni precotte televisive. Avranno mutui da pagare per tutta la vita, e una pensione sempre più lontana e difficile da raggiungere. Saranno vessati dalle banche e dagli strozzini legalizzati, perciò tenteranno la fortuna al gioco e si sputtaneranno i loro soldi e il loro tempo nel tentativo di realizzare una grossa vincita, qualcuno finirà per rovinarsi, ma tanto vale tentare e non pensare che l'unico a incassare certamente è il padrone. Si metteranno a dieta (o almeno annunceranno di averne intenzione) per essere omologati e rientrare nei parametri di normalità, ma torneranno di notte, di nascosto da tutti, a sognare magnifiche torte alla meringa e donne soffici e burrose coi seni e i fianchi generosi. Sogneranno sempre di cambiare vita, magari nei Caraibi, in un'isola nel Pacifico, ma alla fine sceglieranno solo vacanze organizzate o crociere condominiali. Qualcuno, preso da un raptus, ammazzerà la sua compagna, e forse anche i bambini. Perché la rabbia sorda e la frustrazione dei normali, che si ergono a giudici dei diversi, porta anche a questo. E c'è una misoginia profonda nella nostra "cultura". Noi non pratichiamo la violenza, perché amiamo la vita.

venerdì 10 agosto 2012

Recensione di Emanuele Berardi su Dazebao News

Nello “Statuto dei gabbiani” (Milieu edizioni) Pralina Diamante, ultima compagna di Horst, ricostruisce parte di un furia giudiziaria lunga quasi una vita mettendo insieme poesie, racconti e interviste provenienti dalle celle di Fantazzini e articoli di cronaca scritti fuori le mura di carceri in fiamme o tenute sotto mira da tiratori scelti. La storia giudiziaria del detenuto Fantazzini è un racconto fatto di lotte cruenti e “gallerie scavate verso la libertà”. Gesta di ribelli tenute segrete di una storia, quella delle rivolte carcerarie, relegata ai margini degli anni di piombo. Il merito dello “Statuto dei gabbiani” è anche questo; riportare alla luce le cronache di lotte carcerarie contro la detenzione dura del famigerato articolo 90 capace di annientare la dignità del detenuto fino a renderlo “carceriere di se stesso”. Il carcere duro di quegli anni è fatto di improvvisi trasferimenti tra istituti penitenziari da un capo all’altro dell’Italia, cure sanitarie negate o rallentate ai limiti dell’efficacia terapeutica, permessi di colloqui con familiari negati all’ultimo momento. Nel luglio del 1973, a Fossano, dopo essersi visto recapitare in cella altri trenta anni di carcere che ne azzeravano più di venti già scontati, decide di passare all’unica azione dura della sua vita. Ferisce due guardie penitenziarie, ne prende in ostaggio altre due e si barrica nell’ufficio del direttore chiedendo cinque milioni di lire per coprirsi la fuga e un’auto con motore e luci accese. Questa volta le armi saranno tutte vere; carabine di precisione, pistole a canne lunghe, mitra. Verrà crivellato di colpi. Abbattuto. Non sarà risparmiato nemmeno Alf, il cane poliziotto, sguinzagliatogli contro all’ingresso di quel sogno rombante targato Cuneo, disperso nella nube di proiettili del fuoco di Stato. Quella giornata finirà con il corpo del detenuto Fnatazzini stramazzato in una pozza di sangue nel cortile del carcere accanto alle ruote di una Giulia, con il respiro appena percettibile, la mandibola fratturata, l’udito perso ad un orecchio e diversi proiettili disseminati per il corpo che gli terranno compagnia ancora per lunghissimi anni.
Attraverso gli scritti del superdetenuto Horst Fantazzini si entra in punta di piedi, quasi timidamente, in un mondo addirittura silenzioso, dove le fiamme delle moka esplosive, le mani sporche di sangue dei sorveglianti armati impegnati nei pestaggi, e le pale degli elicotteri dei Ros in volo stazionario sui tetti delle sezioni occupate dalle proteste, sono voce e pelle di un inferno combattuto anche con poesia e quiete letteraria. La penna del vecchio leone in gabbia, che sembra scrivere per il carcere e (non) dal carcere, racconta, restituendo colpo su colpo, trenta anni di storia penitenziaria italiana semiclandestina. Dalle proteste estreme condotte al fianco di brigatisti (seppur mantenendo e difendendo con rigore le propria natura anarchica) agli anni ottanta, caratterizzati da dissociazioni di massa e dall’inarrestabile e dilagante fenomeno del pentitismo, responsabile ultimo della svendita di massa della dignità umana, fino ad arrivare all’ultima mano di grigio della droga, che oltre che a seminare vittime anche tra vecchi compagni di lotta, portò presto ad unire sotto lo stesso tetto consumatori e spacciatori “lobotomizzati”, distratti, lontani da qualsiasi realtà e percezione di essa, “ognuno con la propria scimmia sulle spalle”.
La storia di Horst Fantazzini, al di là dell’umana disperazione, dimostra, assieme a centinaia di altre storie, che oggi come ieri “le nostre istituzioni sono lassiste e permissive solo nei confronti dei petrolieri, degli intrallazzatori d’alto borgo, dei bancarottieri internazionali, dei dissipatori di danaro pubblico, dei golpisti neri, dei militari nostalgici”. Gente introvabile in qualsiasi penitenziario in quanto strutture non progettate ad accogliere questo genere di fauna.
Il 21 dicembre 2001, all’età di sessantadue anni, durante il suo primo natale da semilibero, Horst tenterà la sua ultima rapina in bicicletta con un cutter e un collant in tasca. Arrestato, e con l’accusa di terrorismo, finirà di nuovo dietro le sbarre dove morirà la sera del 24 nell’infermeria della Dozza. Il cronometro della sua detenzione si sarebbe forse arrestato nel 2022.
C’è da scommetterci che quella sera, il vecchio leone, saltando ad occhi chiusi il suo ultimo muro trovò, sotto un immenso cielo stellato, la Giulia targata Cuneo con le luci e il motore ancora accesi.
“Sono libero, bastardi!”



Ritratto di Horst, matita su carta

giovedì 9 agosto 2012

Il bandito dai capezzoli rosa


Horst era follemente innamorato della vita, così amava la buona tavola e il vino buono, il computer, la musica, l'arte, il cinema, la comicità, i fumetti, la letteratura anche erotica, la pornografia (se non c'era altro di meglio), gli animali in particolare i cani e gli uccellini e i fiori e il mare... cercava immediatamente un contatto fisico, un abbraccio, dove fondersi con il corpo e con la vita di un'altra persona... e mai e poi mai avrebbe voluto diventare un martire, una vecchia icona arrugginita, uno dei tanti anarchici da celebrare con qualche "grigliata commemorativa" come le chiamava lui... la cosa più fastidiosa a cui siamo stati costretti ad assistere, è stata questa seriosità forzata e quest'atteggiamento giudicante magari nascosto sotto un sorriso imbarazzato, questo non volergli riconoscere di avere dei "vizi" come tutti gli umani, come tanti compagni che si buttano a fumare, a bere, fino a spappolarsi il fegato e il cuore... si è tanto blaterato dopo la sua morte in alcuni piccole parrocchie bolognesi vicine al nostro mondo, di come spendeva i suoi soldi, di quanto stipava il carrello del supermercato, di quanta esagerazione c'era nel suo modo di raccontare le sue imprese erotiche a sessant'anni, di quanto ridevamo, di quale fosse il ruolo della bionda che non cercava di redimerlo, di salvarlo, ma che forse lo sfruttava perché si sa, le donne molto più giovani sono stupide, sono avide, sono interessate solo ai soldi e infatuate del personaggio, e poi ti fanno perdere la testa. Tutte cazzate che ci siamo dovuti sorbire, e aveva ragione ancora una volta quando mi metteva in guardia: "Se dovessi mancare, per te sarebbero guai seri, sei il capro espiatorio ideale per certe piccole teste". Bene è avvenuto proprio così, e anche peggio. Non voglio soffermarmi troppo su queste miserie umane, pur facenti parte del nostro éntourage, e pur rappresentando indegnamente quella non umanità di ipocriti e bigotte che Brassens, Brel, De André e tanti altri poeti dell'anarchia sbeffeggiavano a dovere. Povero Horst, non so quante e quante volte abbiamo riso fino alle lacrime quando il pollo stava per finire, ci siamo presi in giro, abbiamo fatto a cuscinate, ci siamo sparati la panna spray addosso, ci siamo starnutiti in faccia, schiaffeggiati, sculacciati, abbiamo danzato e ci siamo leccati e abbiamo finito sempre una litigata selvaggia, con lacrime e pennelli sbattuti sul pavimento, con un amore totale, abbiamo parlato a vanvera di cose mai fatte e cose da fare assolutamente, perché come si fa a prendersi così sul serio, la vita è un soffio diceva e voglio riprendermi tutti gli attimi rubati. Redimere Horst? impossibile, un controsenso. "Un uomo che non si rassegna è ancora recuperabile", affermava. "Non volevo una educatrice, ma una donna vera, di carne, di sangue, di passione, un po' folle e divertente come sei tu. Hanno passato tutto il tempo a cercare di svitarmi la testa e di sostituirmela, ma non ci sono mai riusciti, mi sono fatto quasi ammazzare ma non gliel'ho data vinta, ora desidero solo un po' di pace fra le tue braccia". Si discuteva molto. Gli facevo notare che le rapine sono un azzardo eccessivo, che il gioco non vale la candela, piuttosto brucia i soldi, vivi gratis, oppure studiamo modi per guadagnare facendo qualcosa di creativo e di divertente. D'accordo, le banche fanno schifo, ma se rapini una banca quei soldi li devi per forza rimettere in circolo, e poi, cazzo, non ci pensi alle persone che ti hanno sostenuto?... Forse voleva riprendersi quell'ultimo maltolto, ma non si può sanare una ferita di quarant'anni con un fisico minato, con una gamba zoppicante... senza rischiare la pelle! Lo Stato dei ladroni che ci deruba ogni giorno l'esistenza non perdona i ladruncoli che raccolgono le briciole, non ha mai perdonato i ribelli che hanno tentato di ribaltare il tavolo, così lo rinchiusero dentro per l'ennesima volta e proprio sotto le  feste di Natale. Lì per lì ero veramente incazzata, l'avrei preso a schiaffi, ma quando mi telefonò il direttore del carcere per dirmi che era morto la sera di Natale, mi crollò il mondo addosso. Gli dicevo: "Scriverò un romanzo su di te, e lo chiamerò il bandito dai capezzoli rosa, te lo giuro è una cosa solenne, non so se troverò un editore che me lo pubblica, ma su questo titolo vai tranquillo, fa parte di una trilogia assurda che comprende anche cose molto peggiori", ricordo che ne rise tanto, tantissimo, fino a farsi venire il singhiozzo, voglio che rimanga solo questa sua risata bellissima, esplosiva, caustica, psichedelica, che rompeva i muri e arrivava fino alle nuvole, voglio ricordarlo con questa luce negli occhi, che vivrà per sempre, perché un uomo così non può morire, non morirà mai.



In via del Pratello a Bologna, con Horst Fantazzini

domenica 5 agosto 2012

La nostra casa in via di Roncrio a Bologna


Avremmo potuto sposarci, se le cose fossero andate per il verso giusto. Ci scambiammo due fedi d'oro nella solitudine della nostra camera da letto, perché il matrimonio aveva valore nei nostri cuori. Non m'importava la cerimonia in sé. Ma Horst sentiva il desiderio di tutelarmi in una situazione nella quale avrei perso facilmente ogni diritto a partire da quello dell'abitazione. Diceva sempre, che per il maschilismo della legge e per la mentalità di certuni, alle donne conviventi non sono riconosciuti gli stessi diritti delle donne sposate...
Diceva che Maria, aveva spesso avuto dei problemi ad entrare a colloquio con il suo compagno, Libero, perché non erano sposati davanti alla legge. Erano passati tanti anni da allora, ma le discriminazioni verso coloro che non regolarizzano i loro rapporti dinnanzi al prete o allo stato, non sono di certo terminate.
Andammo a vivere "a singhiozzo" al terzo ed ultimo piano di quella palazzina che era stata costruita da suo padre, in via di Roncrio.
La palazzina è composta da tre piani; ha le scale esterne tuttora senza una illuminazione adeguata, l'ultima rampa è una vera scommessa contro la legge di gravità, ed era per noi abbastanza scomodo ed assai faticoso, portare su dei mobili o la spesa; ma eravamo ripagati dal luogo dove vivevamo, dalla bellezza del bosco sul retro della casa e soprattutto dalla felicità di avere un "nido" tutto nostro.
Il nostro sole sorgeva e tramontava dietro le colline. Non aggrediva mai direttamente la casa, nemmeno in estate.
Nei giorni di pioggia, era tutto buio.
Dalla finestra della nostra camera da letto ci incantava la vista degli alberi; un fitto intreccio di rami schermava la luce.
Quando si spogliavano delle loro foglie e restava soltanto l'edera a ricoprire i tronchi, contro il cielo azzurro pallido si potevano vedere chiaramente gli scoiattoli che danzavano con grazia da un ramo all'altro.
Un altro spettacolo era la fioritura delle primule e dei ciclamini nel bosco, all'inizio della primavera.
Svegliarmi con Hosti accanto era sempre più bello, ma la cornice era ancora più bella di tutti i sogni ad occhi chiusi o aperti.
Lui amava profondamente quel luogo, si vantava del "verde" che ci circondava, guardava fuori e... tossiva, con la sigaretta in bocca. Capivo che stava fumando, anche quando ero fuori a pulire e curare le piante. "Fuma, fuma, che ti fa bene!".
Rideva. Mandava di traverso il fumo, ma rideva di gusto, con la pancia.
Io lo mordevo.
A volte giocavamo veramente come bambini, ci sputavamo in faccia, ci tiravamo addosso i cuscini con tutta la forza, facevamo la lotta sul letto e lui era felice di immobilizzarmi le braccia e di farmi vedere chi era il più forte.
... In realtà, la nostra vita era durissima.
Facevo sempre la spola tra Bologna e Firenze, per poter stare sia con lui che con mio figlio. Lui usciva e rientrava ogni giorno, tranne i giorni festivi quando chiedeva la licenza per trascorrere una notte a casa e tuttavia, durante quei permessi, aveva l'obbligo della "firma" in questura.
Da maggio 2001 lavorava come magazziniere all'Altercoop di Bologna, una ditta che si occupa di carta riciclata.
Non era stato facile nemmeno trovargli questo lavoro, evidentemente non era il massimo per un uomo della sua età, ma la promessa per un lavoro come programmatore di computer non era stata mantenuta.
Il primo ed unico Natale (quello del 2000) che trascorremmo insieme, andammo a prendere un abete alla Fiera di Santa Lucia, per poterlo addobbare. Si mise l'abete in spalla e lo portammo in autobus.
S'innamorò anche di un piccolo abetino di plastica che funzionava a pile, e che cantava "Jingle Bells". Era un capriccio, ma perché non esaudirlo? Prendemmo anche quello.
Chi l'avrebbe mai detto, che dopo un anno qualcuno si sarebbe preoccupato di buttarlo nell'immondizia per farci dispetto...
Passammo tutta la notte a ridere, mentre guarnivo l'albero con decorazioni, stelle, palle, fiocchi e angioletti.
I suoi occhi brillavano. Sembrava che avesse la febbre.
Provavo una grandissima gioia nel vederlo così felice. Anche se i vicini vennero da noi il giorno dopo a protestare per il chiasso, era stato bello e mi rendevo conto di quanto il Natale gli fosse mancato là dentro.
Ero attentissima a non cadere dalla sedia, mentre le mie mani erano impegnate ad attaccare decorazioni, e le sue ad accarezzare le mie gambe...
Iniziammo ad arredare casa, con l'aiuto di un amico antiquario, che fu veramente carino con noi. Trovammo il nostro primo frigorifero grazie a due compagni, due belle poltrone grazie a un'amica, un vecchio televisore non so dove. Era evidente che spendevamo anche tanto per sistemare la nostra casa, ma le maggiori soddisfazioni ci venivano date da questi gesti di generosità assolutamente spontanei.
Suo figlio ci regalò una bicicletta e ci portò una libreria, che riempimmo con dei libri d'arte ricevuti in regalo dall'Altercoop.
Tornavo da Firenze ogni volta con degli oggetti per la nostra casa, con dei regalini per lui, con la spesa.
Ogni notte prima di andare a letto, accendevo candele ed incensi, per fargli trovare la casa profumata e illuminata al suo rientro. Quando potevamo trascorrere una notte insieme, per me era una felicità indescrivibile. Ormai si aspettava queste attenzioni, non erano più sorprese ma stavano diventando la nostra particolare consuetudine.
Per la festa di Halloween intagliai ed illuminai una grande zucca arancione, immaginando la sua gioia nel vederla, rientrando.
"Non ho mai avuto una zucca di Halloween, non sapevo neanche cosa fosse!".
Ma anche lui aveva mille attenzioni per me, quando cominciò ad uscire in semilibertà tornava a casa la mattina presto per poter trascorrere un'ora insieme, prima del lavoro. Era una bella fatica, il carcere si trovava molto lontano da casa. Non avendo la macchina, usava la bicicletta o l'autobus.
Usciva dal carcere alle 6 del mattino. Alle 6 e mezza o appena un po' più tardi lo vedevo arrivare. Tornava su per quelle scale maledette, con il giornale e un vassoietto con due brioches. A volte le brioches e i croissants erano più di due, inutilmente lo rimproveravo chiedendogli perché sprecare tutto quel ben di dio, ma era convinto di farmi felice. Mi diceva che si era fermato apposta, che i commessi della pasticceria erano gentili con lui.
Gli preparavo il caffè o la cioccolata in tazza e restavamo in silenzio a fare colazione, con una sbirciata ai titoli del giornale.
Insieme al giornale mi riempiva il tavolo di supplementi e di CD di musica in offerta con le varie riviste.
Accarezzavo il suo volto, era stanco. Gli dicevo che avrebbe dovuto riguardarsi perché il suo lavoro era troppo pesante. Insistevo affinché mangiasse qualcosa per tenersi su, ma diceva di non avere fame. Era dimagrito un po' troppo, scuotevo la testa. Avrei voluto chiedergli tante cose, ma non c'era il tempo.
S'incazzava se c'erano dei bicchieri sporchi nell'acquaio o le sigarette nei portaceneri, perché voleva tutto a posto.
Mi dava degli ordini sulla cena da preparare, ma poi facevo sempre di testa mia. Era ovvio che dovevo fare i conti col portafoglio, ma non con la mia fantasia.
All'ora di pranzo mi avrebbe telefonato dal lavoro per informarsi se avevo mangiato, e alle cinque del pomeriggio quando era di nuovo a casa mi avrebbe chiesto cos'avevo fatto, se i pantaloni erano stirati, e cosa bolliva in pentola. Si entusiasmava per niente, sapevo di farlo felice quando trovava il ragù a sobbollire nel tegame o una frittata di patate sul piatto.
Era schietto, semplice, talvolta sgarbato, puntiglioso ed esigente, ma con un cuore immenso e sempre pieno d'attenzioni...
Qualche avvoltoio ha poi insinuato che prendeva il Viagra per soddisfare le mie voglie, e che forse proprio questo ha accellerato la sua morte.
Ma non era vero. Non avevamo affatto bisogno del Viagra. Non c'era niente che non ci funzionasse, a parte la testa.

 

horst nella casa in via roncrio

sabato 4 agosto 2012

Et quels amours! di Tano Marcellino, dedicata a Horst e Pralina

Cara Pralina,
Un abbraccio,
Tano



ET QUELS AMOURS!


La catastrofe fluisce tra le cose
e mira alle primule e agli amori
e tuttavia sempre troverai aperta
la casupola del mio cuore:
vuoto com'è pieno Orione
in quella sua follia
rifugio della vita.
E se cadono cortecce e iniziali
l'albero chitarrista
non dimentica.
Tutto gira.
Vaga saggezza
a bordo di galassie.
Dono solitario
a un cosmo confuso
forse non a questa era
o forse era
il transitare a sfiorare
le fessure dei pensieri
tra cataste di buio
noi sensibili alla luce
e alla voce.
E come estesi cieli
in cui la terra vola
s'accendono alla stella
e son aurore
così gli amori.
Tutto si tiene.
L'amore sopravvive agli amanti.
Il suo velo traluce a notte
traversa altezze esistenze
scioglie clessidre
legge argille
corre le belle corse.
In ali di sorriso
lo squillo dei tuoi occhi.



Gaetano Marcellino, Catania 16 gennaio 2002


(poesia dedicata a Horst e Pralina, pubblicata nella raccolta "Durer" di Gaetano Marcellino, a cura del Ministero della Cultura francese, ed. Dumerchez, Paris 2003)

Lo Statuto dei Gabbiani di Horst Fantazzini

giovedì 2 agosto 2012

Marco Biazzetti ricorda i concerti per Horst Fantazzini

Abitavano tutti all’ombra delle Apuane. Che si può dire di questa città, Carrara? Mare, marmo, nostalgici di Stirner e Bakunin, sgabei, panegacci, testaroli, baccalà marinato: un posto dove nessuna Glasnost ha intaccato i quasi secolari intrallazzi tra amministrazione comunale e gestori delle cave. L’immobilismo sinistroide, il cheta non movere mota chetare delle mummie filo brezneviane era l’humus ideale per partorire un effetto rock ribelle. I Polvere di Pinguino sono andati oltre. Si sono proposti di somigliare a tutti e a nessuno in un posto dove tutto era già considerato valore aggiunto. In un certo senso, la breve fortuna dei Polvere di Pinguino fu che, a parte gli Unti e Bisunti, che per un breve periodo tentarono di graffiare le marmette di qualche sala da ballo, il rock a Carrara non era ancora arrivato. Il primo che mise sul piatto un singolo dei Dead Kennedys, tal Brunetto, lo ascoltò per diversi giorni a 33 giri e poi si vantò di aver scoperto un nuovo complesso blues californiano…
S’incontrarono per caso, a una festa filo-anarchica con il solito casino organizzato sulle tavole: testaroli al pesto, lardo di Colonnata e numerosi fiaschi di bianco di Luni. Il padrone di casa, Davidone, tastierista degli Unti e Bisunti, aveva chiesto a tutti di portare della musica, ma loro, vai un po’ a capire per quale strana ragione, si erano portati dietro strumenti, amplificatori e casse comprese. L’entrata di Squalo fu simile allo scoppio di una bomba a mano: lasciò cadere a terra la batteria e la gente fece un salto così per lo spavento. Calmi. La scintilla decisiva scoppiò quando Lungo tirò fuori l’armonica e attaccò con un pezzo country-rock che mandò tutti in visibilio. Non si conoscevano. Non sapevano di avere in comune una passione travolgente: gli Stooges di Iggy Pop. Con la coda dell’occhio Tasso scorse Cutro che sfilava la chitarra dalla custodia, Squalo che avvitava i piatti, Umberto che accordava il basso: si rese conto che stava accadendo qualcosa d’importante, al di là di ogni immaginazione. Ci vollero pochi minuti per mettere a punto la rivoluzione sonora di Carrara: una versione di Born to Be Wild da tramortire gli invitati fino all’alba.
Il 1990 iniziò con un concerto in provincia di Torino piantonato di sbirri in borghese. Per provocazione dedicarono tutta la scaletta all’autore di “Ormai è fatta!”. La gente saltava urlando: via-via-la-polizia! Passarono la notte in caserma. Volevano i nomi dei complici che avevano aiutato Horst Fantazzini a evadere dal carcere di Alessandria. C’era da piangere, la buttarono sul ridere, con Umberto che mostrava agli agenti i numeri di telefono delle ragazze conosciute durante la serata. Parecchi. Si sentivano come i Doors, dopo il famoso concerto in cui Morrison si era sbottonato la patta e aveva mostrato il suo bastone alla folla. Non era una sensazione gradevole. “Accennare all’ingiustizia nel bel mezzo dei nostri concerti non significava cercare un pretesto per sentirsi liberi a tutti i costi. Il palco serve per stare più in alto, e noi non eravamo pupazzetti che sparavamo decibel senza un minimo di materia grigia.”
Per un istante un dubbio attraversò le loro menti: il posto, è quello giusto? Perché le custodie di basso e chitarre erano tradizionali e, detto in confidenza, solo i doganieri di Ceuta, avrebbero avanzato qualche sospetto. La batteria parlava da sé: Squalo aveva pensato bene di iniziare a montarla nella saletta. Fu la dignità del loro istinto a impedire di rispondere. Restarono lì, muti e immoti, uno accanto all’altro, a seguire la sua testona bionda che oscillava su e giù. Dopo un po’ lui appoggiò le mani sulla scrivania, accanto a uno strano aggeggio nero e quadrato con tre pulsanti: verde, bianco e rosso. Le dita tamburellarono nervosamente attorno all’aggeggio, il suo respiro si fece pesante, poi premette quello bianco e un attimo dopo entrò la segretaria molto svestita.