giovedì 2 agosto 2012

Marco Biazzetti ricorda i concerti per Horst Fantazzini

Abitavano tutti all’ombra delle Apuane. Che si può dire di questa città, Carrara? Mare, marmo, nostalgici di Stirner e Bakunin, sgabei, panegacci, testaroli, baccalà marinato: un posto dove nessuna Glasnost ha intaccato i quasi secolari intrallazzi tra amministrazione comunale e gestori delle cave. L’immobilismo sinistroide, il cheta non movere mota chetare delle mummie filo brezneviane era l’humus ideale per partorire un effetto rock ribelle. I Polvere di Pinguino sono andati oltre. Si sono proposti di somigliare a tutti e a nessuno in un posto dove tutto era già considerato valore aggiunto. In un certo senso, la breve fortuna dei Polvere di Pinguino fu che, a parte gli Unti e Bisunti, che per un breve periodo tentarono di graffiare le marmette di qualche sala da ballo, il rock a Carrara non era ancora arrivato. Il primo che mise sul piatto un singolo dei Dead Kennedys, tal Brunetto, lo ascoltò per diversi giorni a 33 giri e poi si vantò di aver scoperto un nuovo complesso blues californiano…
S’incontrarono per caso, a una festa filo-anarchica con il solito casino organizzato sulle tavole: testaroli al pesto, lardo di Colonnata e numerosi fiaschi di bianco di Luni. Il padrone di casa, Davidone, tastierista degli Unti e Bisunti, aveva chiesto a tutti di portare della musica, ma loro, vai un po’ a capire per quale strana ragione, si erano portati dietro strumenti, amplificatori e casse comprese. L’entrata di Squalo fu simile allo scoppio di una bomba a mano: lasciò cadere a terra la batteria e la gente fece un salto così per lo spavento. Calmi. La scintilla decisiva scoppiò quando Lungo tirò fuori l’armonica e attaccò con un pezzo country-rock che mandò tutti in visibilio. Non si conoscevano. Non sapevano di avere in comune una passione travolgente: gli Stooges di Iggy Pop. Con la coda dell’occhio Tasso scorse Cutro che sfilava la chitarra dalla custodia, Squalo che avvitava i piatti, Umberto che accordava il basso: si rese conto che stava accadendo qualcosa d’importante, al di là di ogni immaginazione. Ci vollero pochi minuti per mettere a punto la rivoluzione sonora di Carrara: una versione di Born to Be Wild da tramortire gli invitati fino all’alba.
Il 1990 iniziò con un concerto in provincia di Torino piantonato di sbirri in borghese. Per provocazione dedicarono tutta la scaletta all’autore di “Ormai è fatta!”. La gente saltava urlando: via-via-la-polizia! Passarono la notte in caserma. Volevano i nomi dei complici che avevano aiutato Horst Fantazzini a evadere dal carcere di Alessandria. C’era da piangere, la buttarono sul ridere, con Umberto che mostrava agli agenti i numeri di telefono delle ragazze conosciute durante la serata. Parecchi. Si sentivano come i Doors, dopo il famoso concerto in cui Morrison si era sbottonato la patta e aveva mostrato il suo bastone alla folla. Non era una sensazione gradevole. “Accennare all’ingiustizia nel bel mezzo dei nostri concerti non significava cercare un pretesto per sentirsi liberi a tutti i costi. Il palco serve per stare più in alto, e noi non eravamo pupazzetti che sparavamo decibel senza un minimo di materia grigia.”
Per un istante un dubbio attraversò le loro menti: il posto, è quello giusto? Perché le custodie di basso e chitarre erano tradizionali e, detto in confidenza, solo i doganieri di Ceuta, avrebbero avanzato qualche sospetto. La batteria parlava da sé: Squalo aveva pensato bene di iniziare a montarla nella saletta. Fu la dignità del loro istinto a impedire di rispondere. Restarono lì, muti e immoti, uno accanto all’altro, a seguire la sua testona bionda che oscillava su e giù. Dopo un po’ lui appoggiò le mani sulla scrivania, accanto a uno strano aggeggio nero e quadrato con tre pulsanti: verde, bianco e rosso. Le dita tamburellarono nervosamente attorno all’aggeggio, il suo respiro si fece pesante, poi premette quello bianco e un attimo dopo entrò la segretaria molto svestita.

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