martedì 11 dicembre 2012

Solo due parole, o qualcosa di più, sui funerali di Horst e sulle vere cause della sua morte

Ho trovato questo messaggio molto interessante (e capirete perché) in una mailing list sui funerali di Horst:

From: "valerio" <sirwalter@...> Subject: Funerali per Horst Fantazzini
Comunichiamo a tutte le compagne e a tutti i compagni interessati che le esequie per Horst, in forma laica e con bandiere anarchiche, si dovrebbero svolgere sabato 29 dicembre 2001 alle ore 15, presso il cimitero della Certosa di Bologna. Questa data e questa ora sono, al momento, indicativi. Avremo la conferma domani pomeriggio. Per conferma invieremo una ulteriore mail domani sera. Oggi si é svolta l'autopsia che ha accertato la morte di Horst a causa di un aneurisma. Horst sarà cremato. La data della cremazione non é ancorapossibile determinarla a causa delle code per espletare tale evento.In quell'occasione, probabilmente, ci raccoglieremo ancora intorno ad Horst presso la sala del Pantheon nel cimitero della Certosa di Bologna. Per i compagni e le compagne del circolo anarchico "Berneri" di Bologna. Tiziana e Walter.

Mi sembra doveroso e rispettoso a quasi undici anni dalla sua morte, ricordare che il mio compagno Horst Fantazzini morì per un aneurisma, accertato dalla dott. Anna Vercelli che gli praticò l'autopsia richiesta dalla famiglia, onde fugare ogni dubbio che lo avessero ammazzato di botte dopo l'ultimo l'arresto come in un primo tempo si era sospettato. Questo aneurisma addominale, con molte probabilità era il risultato di numerose e complicate ricostruzioni dell'addome in seguito al massacro (plotone d'esecuzione) di Fossano del 23 luglio 1973 che gli lasciò in corpo per decenni varie pallottole, schegge e scheggine di pallottole; negli ultimi tempi Horst lamentava in una intervista con il giornalista Antonio Roccuzzo di avere ancora un paio di questi souvenir da togliere. Horst da quel massacro uscì vivo per miracolo solo grazie al suo fegato posizionato a sinistra (una cosa assolutamente eccezionale) ma con una vera bomba ad orologeria nel suo corpo. Del resto questo messaggio che proviene dalla email di Walter Siri dimostra il fatto che tutte le compagne e i compagni anarchici bolognesi fossero già a conoscenza, ai tempi del funerale, di un aneurisma che negli anni si era lentamente ingrossato arrivando a un diametro insopportabile e che ne causava anche un vistoso dimagrimento (perché Horst non riusciva più a mangiare). Probabilmente l'abitudine di fumare due pacchetti di sigarette al giorno non giocò a suo favore, ma evidentemente l'animo di Horst era provato da tante e tali traversie, per cui era impossibile che non facesse uso di alcool o di sigarette per darsi il coraggio di tornare in carcere la sera. Horst non era affatto cardiopatico, aveva le analisi abbastanza a posto a parte i trigliceridi alti, e aveva persino la pressione bassa. Il suo stomaco però gli faceva male e a volte pulsava come se avesse un cuore dentro. Io e Loris cercammo di convincerlo a ricoverarsi, ma Horst temeva di venire piantonato di nuovo, esperienza che per lui fu traumatizzante e devastante. Nel mese di novembre 2001 una sera a causa della cattiva illuminazione cadde dalle scale di casa nostra e si incrinò due costole, nemmeno in quella occasione volle farsi ricoverare, si limitò a farsi fare i raggi da esterno e forse fornendo false generalità, come un qualsiasi clandestino. Sebbene intuisse la gravità della sua condizione, scelse di non farsi medicalizzare. Tutti sanno che il detenuto in semilibertà non può avere nemmeno un medico della mutua, può averne uno in carcere e si può immaginare con che tempi e con quale prontuario farmaceutico limitato. Stupisce allora la calunnia reiterata proveniente dalle stesse persone, in particolare da Tiziana, che dopo la sepoltura di Horst si è divertita - e lo ha fatto nel corso di un decennio - a raccontare per sue convinzioni personali o antipatie contro di me (magari fomentate da racconti dei figli, che però non corrispondono alla realtà in quanto inquinate dalla gelosia) che siccome  Horst era cardiopatico io ne avrei accellerato la morte prima con le mie continue e insostenibili pretese sessuali (leggasi ninfomania) e inducendolo, anzi quasi costringendolo a utilizzare il Viagra, poi spingendolo a rapinare una banca. La storiella del Viagra somministrato a Horst è ovviamente una bufala, prima di tutto perché non ne aveva assolutamente bisogno, dopo tanti anni di carcere passati senza una donna e quindi con desideri ancora vivi, con tutta la sua gioia di vivere incontenibile e nonostante il suo malessere e i suoi problemi era ancora un uomo lucidissimo, giovanile, attivo e molto sano, abituato a risolvere i suoi problemi in modo pragmatico e a praticare l'autocura con metodi spartani appresi al gabbio dove solo chi è fisicamente sano sopravvive e i deboli soccombono, soprattutto era un uomo molto innamorato, secondo perché io che sono pure femminista e rifiuto ogni farmaco di tipo fallocentrico (come il Viagra), delle multinazionali, delle porcherie chimiche tranne i farmaci salvavita, allora mi curavo con l'omeopatia e per una decina di anni non andai più dal mio medico di base. Insomma io e Horst facevamo ginnastica tutti i giorni, camminavamo moltissimo, non prendevamo nemmeno l'aspirina, figuriamoci il Viagra. Eravamo molto ruspanti, e molto genuini e sul lato fisico parecchio resistenti. Ci abbiamo scherzato su un sacco di volte perché sapevamo di altre persone più giovani di lui che invece ne facevano uso. E nemmeno se lo avessimo utilizzato, ci sarebbe stato da farne un manifesto, sono comunque scelte personali che vanno rispettate da parte di chi si professa libertario. Stupisce che tali stupidaggini a puro scopo diffamatorio di chiaro stampo moralistico volte a screditarmi e a farmi terra bruciata intorno provengano da una compagna che si definisce femminista contro un'altra compagna, alla faccia della solidarietà fra donne! Questo messaggio post mortem però è molto eloquente: mi fa capire che lor signori sapevano benissimo che ciò non era così e che Horst non era cardiopatico perché è morto per un aneurisma, fra l'altro causato anche se indirettamente dal piombo dei proiettili e dalle lesioni chirurgiche. E in ogni caso non sarebbe stato né circuibile né plagiabile perché assolutamente refrattario a farsi rieducare o indurre a compiere atti contro la sua volontà, infatti tutta la sua vita si svolse coerentemente in questa maniera, senza maestrine o educatrici saccenti o pupe del gangster o donne di malaffare (donne, eterni angeli o diavoli tentatori? questa è la dicotomia che rappresentano le femmine nell'immaginario misogino dal retaggio cattolico) pronte a suggerirgli la via del bene o del male. E allora, se non vogliono ricordarlo degnamente, come ogni altro compagno anarchico e libertario di indubbio valore, che almeno rispettino la sua pace e il mio immenso dolore. Avendo alcuni testimoni, avrei potuto trascinare questa vicenda in tribunale per l'immensa sofferenza causatami da questa sorta di persecuzione, ma da libertaria preferisco metterla nero su bianco lasciando al lettore o lettrice la facoltà di capire dove sta la ragione, io non mi sono sottratta a nessun chiarimento, altri hanno parlato solo alle spalle senza provare ciò che dicevano. Una valanga di bugie per scaricare le loro cattive coscienze sul fatto che negli ultimi mesi, quelli della semilibertà, in pochissimi ci avevano davvero aiutato a farlo tornare libero… mentre in tanti lo fecero senza indugi (e non me ne vogliano quelli che hanno avuto intenzioni oneste e ci hanno sostenuti, sto parlando di una tendenza ipocrita come una sorta di marciume in piccoli ambienti che non riguarda l’umanità di coloro che non lo hanno fatto per farsi belli) quando uscì il film di Enzo Monteleone interpretato da Stefano Accorsi e tutti improvvisamente diventavano suoi amici e qualcuna pur di avere un'intervista esclusiva con lui gli faceva credere che lo avrebbero aiutato a trovargli un lavoro (parole parole parole), ma si sa che in Italia è d'uso salire sul carro del vincitore e lasciare a piedi chi è perdente, quando Horst venne arrestato le stesse brave persone dall'adulazione facile mi chiusero il telefono in faccia, queste del Viagra e della mia condotta "avida e vampiresca" e la mia "smania di stare sempre sotto i riflettori" sono state fra le più false e dolorose affermazioni per me che mi sono prodigata fino all'ultimo per rendere la nostra vita la più dignitosa possibile nonostante i nostri problemi materiali, la casa da sistemare, mio figlio ancora bambino che dovevo raggiungere per occuparmi anche di lui facendo la pendolare con treni regionali che partivano sempre dopo le otto di sera perché l'Eurostar non potevo sempre permettermelo. Quel giorno dei suoi funerali Anna Fantazzini, la ex moglie venuta apposta per conoscermi mi abbracciò e mi disse che non dovevo fare caso alle chiacchiere stupide messe in giro contro di me, perché la mia presenza sulle decisioni di lui era ininfluente: a Horst, mi disse, nessuno nemmeno la donna più brava del mondo avrebbe mai potuto cambiarlo o fargli cambiare idea.
E anche se le sue ceneri sono state dimenticate da familiari e compagni, abbandonate alla Certosa e dopo tanti anni si trovano ancora là, io che sulle ceneri - non essendo legalmente sposati non ho alcun diritto, non ne ho mai avuti nemmeno sui mobili e sugli oggetti che ci sono stati rubati nella nostra casa - il suo sorriso così bello lo porto ancora dentro al cuore. 

Patrizia Pralina Diamante


lunedì 10 dicembre 2012

Una bellissima recensione di Mario Setta

Tra un delinquente e un prete

16 10 2012

di Mario Setta


SULMONA.-“Lo statuto dei gabbiani” (ed. Milieu 2012) è il titolo d’un libro che raccoglie gli scritti e racconta la vita del famoso “bandito gentile” Horst Fantazzini, curato dalla compagna Patrizia Diamante con prefazione di Pino Cacucci. In realtà,  neanche il titolo riesce a dare l’immagine dell’idea di libertà incarnata da Fantazzini. Forse, volendo parafrasare Rousseau, che nel “Contratto sociale” esordisce con l’affermazione “L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene”, Horst Fantazzini, paragonandosi al gabbiano,  nega il concetto stesso di statuto, perché i gabbiani “sono nati per volare liberi e per loro non ci sono statuti, né leggi, né regolamenti” In “Ormai è fatta!”, trasposto nell’omonimo film di Enzo Monteleone con Stefano Accorsi, mentre Horst Fantazzini sta raccontando dettagliatamente la sua evasione dal carcere di Fossano, cita Bernanos de “I grandi cimiteri sotto la luna”, la più lucida e tremenda denuncia contro la guerra civile spagnola. “Io credo inevitabile, in un mondo saturo di menzogna, la rivolta degli ultimi uomini liberi”, scriveva allora Bernanos.
E Fantazzini ne riporta una frase lapidaria: “La minaccia peggiore per la libertà non consiste nel lasciarsela strappare – perché chi se l’è lasciata strappare può sempre riconquistarla – ma nel disimparare ad amarla e nel non capirla più”. Ma è lui stesso a sentirsi in colpa per quello che sta facendo: “Sì, c’è dell’egoismo in quanto sto facendo, ma se le circostanze me lo permetteranno, questo potrebbe anche essere il primo passo d’un cammino più lungo”.Quel cammino, allora immaginato, lo conduce da un carcere all’altro, da un’evasione all’altra: 34 anni da gulag. Come nei racconti della Kolyma di Salamov o le lettere dalle Solovki di Florenskij. Una voglia di libertà frustrata, repressa. Una personalità mai domata, quella di Fantazzini,  fino all’ennesimo ed ultimo tentativo di rapina in banca, quel 19 dicembre 2001, in via Mascarella, a Bologna. E, tre giorni dopo, la morte per aneurisma aortico. A 62 anni. “Nessuno muore mai del tutto finché c’è qualcuno che lo ricorda” ha scritto nella prefazione Pino Cacucci. A me, il ricordo di Horst, è impresso nel sangue.E’ lui stesso a raccontarlo nella lettera, scritta dal carcere di Lecce il 4 ottobre 1975: “Carissimo don Mario, ti sorprenderai senz’altro ricevere una lettera da me dopo un così lungo silenzio, ma il fatto è che oggi ho ricevuto una comunicazione giudiziaria per i fatti dell’anno scorso ed ho visto con sorpresa che tu sei imputato con me. […] Carissimo Mario, da allora ho pensato molto spesso a te, credo che non ti dimenticherò mai. Avrei voluto scriverti ma non l’ho fatto perché compresi che il procuratore era convinto che io e te ci conoscessimo da tempo. Gli era incomprensibile che tra un delinquente e un prete potesse crearsi, in momenti drammatici come quelli, una corrente fatta di simpatia, solidarietà, calore umano. Io ho di te un ricordo bellissimo e io, che non sono credente, vorrei che ce ne fossero tanti di preti come te, sacerdoti che, più che per la bellezza dell’aldilà, sono disposti a battersi affinché il contenuto sociale presente nell’insegnamento del Cristo possa realizzarsi nell’esistenza terrena d’ogni creatura umana. Ciao, Mario. Non volermene troppo per le seccature che ti ho causate. T’abbraccio fraternamente, Horst”.
Nell’evasione di Sulmona, giovedì  9 maggio 1974, ero nella casa parrocchiale che dista circa cento metri dal carcere. Parroco in quelle frazioni, ma schierato con altri sacerdoti italiani a favore della legge dello Stato sul divorzio, il cui referendum avrebbe avuto luogo domenica 12 maggio. Ero stato minacciato dal vescovo di “sospensione a divinis”, cosa che avvenne qualche tempo dopo. Stavo battendo  a macchina il programma di terza media per i lavoratori che frequentavano il corso serale di preparazione agli esami. La porta della canonica era sempre aperta. Horst salì le scale, si presentò sull’uscio della stanza dove scrivevo, richiamato dai colpi sulla tastiera. Puntò contro di me la pistola. Restammo per alcuni minuti in silenzio.  Soli. Mi disse: “Ce l’ho fatta anche qui”. Un carcere, dove un’evasione sembrava inconcepibile. Vide un poster di Gramsci, lesse i nomi di Silone, Brecht, Remarque, Levi, don Milani, ecc.  Si sentiva a suo agio. Parlammo da amici. Non da prete a delinquente, ma da fratello a fratello, come nell’incontro tra Jean Valjean e il vescovo Myriel ne “I Miserabili” di Victor Hugo. Capivo che, accanto a me, quasi coetaneo, non c’era un uomo in giubbotto con pistola, ma un profondo innamorato della libertà. Di quella libertà da tutte le catene, che negano e distruggono la dignità della persona umana.

martedì 23 ottobre 2012

Arcore - 4 novembre presentazione de Lo statuto dei gabbiani al Circolo Blob

Arcore (Milano)

2 commenti:


Bergamo - 3 novembre presentazione de Lo statuto dei gabbiani al Circolo Underground

Bergamo



martedì 16 ottobre 2012

Tra un delinquente e un prete... di Mario Setta

"Tra un delinquente e un prete…"

“Lo statuto dei gabbiani” (ed. Milieu 2012) è il titolo d’un libro che raccoglie gli scritti e racconta 
la vita del famoso “bandito gentile” Horst Fantazzini, curato dalla compagna Patrizia Diamante con prefazione di Pino Cacucci. In realtà, neanche il titolo riesce a dare l’immagine dell’idea di libertà incarnata da Fantazzini. Forse, volendo parafrasare Rousseau, che nel “Contratto sociale” esordisce con l’affermazione “L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene”, Horst Fantazzini, paragonandosi al gabbiano, nega il concetto stesso di statuto, perché i gabbiani “sono nati per volare liberi e per loro non ci sono statuti, né leggi, né regolamenti”. In “Ormai è fatta!”, trasposto nell’omonimo film di Enzo Monteleone con Stefano Accorsi, mentre Horst Fantazzini sta raccontando dettagliatamente la sua evasione dal carcere di Fossano, cita Bernanos de “I grandi cimiteri sotto la luna”, la più lucida e tremenda denuncia contro la guerra civile spagnola. “Io credo inevitabile, in un mondo saturo di menzogna, la rivolta degli ultimi uomini liberi”, scriveva allora Bernanos. E Fantazzini ne riporta una frase lapidaria: “La minaccia peggiore per la libertà non consiste nel lasciarsela strappare – perché chi se l’è lasciata strappare può sempre riconquistarla – ma nel disimparare ad amarla e nel non capirla più”.Ma è lui stesso a sentirsi in colpa per quello che sta facendo: “Sì, c’è dell’egoismo in quanto sto facendo, ma se le circostanze me lo permetteranno, questo potrebbe anche essere il primo passo d’un cammino più lungo”.Quel cammino, allora immaginato, lo conduce da un carcere all’altro, da un’evasione all’altra: 34 anni da gulag. Come nei racconti della Kolyma di Salamov o le lettere dalle Solovki di Florenskij. Una voglia di libertà frustrata, repressa. Una personalità mai domata, quella di Fantazzini, fino all’ennesimo ed ultimo tentativo di rapina in banca, quel 19 dicembre 2001, in via Mascarella, a Bologna. E, tre giorni dopo, la morte per aneurisma aortico. A 62 anni. “Nessuno muore mai del tutto finché c’è qualcuno che lo ricorda” ha scritto nella prefazione Pino Cacucci. A me, il ricordo di Horst, è impresso nel sangue. E’ lui stesso a raccontarlo nella lettera, scritta dal carcere di Lecce il 4 ottobre 1975: “Carissimo don Mario, ti sorprenderai senz’altro ricevere una lettera da me dopo un così lungo silenzio, ma il fatto è che oggi ho ricevuto una comunicazione giudiziaria per i fatti dell’anno scorso ed ho visto con sorpresa che tu sei imputato con me. […] Carissimo Mario, da allora ho pensato molto spesso a te, credo che non ti dimenticherò mai. Avrei voluto scriverti ma non l’ho fatto perché compresi che il procuratore era convinto che io e te ci conoscessimo da tempo. Gli era incomprensibile che tra un delinquente e un prete potesse crearsi, in momenti drammatici come quelli, una corrente fatta di simpatia, solidarietà, calore umano. Io ho di te un ricordo bellissimo e io, che non sono credente, vorrei che ce ne fossero tanti di preti come te, sacerdoti che, più che per la bellezza dell’aldilà, sono disposti a battersi affinché il contenuto sociale presente nell’insegnamento del Cristo possa realizzarsi nell’esistenza terrena d’ogni creatura umana. Ciao, Mario. Non volermene troppo per le seccature che ti ho causate. T’abbraccio fraternamente, Horst”.Nell’evasione di Sulmona, giovedì 9 maggio 1974, ero nella casa parrocchiale che dista circa cento metri dal carcere. Parroco in quelle frazioni, ma schierato con altri sacerdoti italiani a favore della legge dello Stato sul divorzio, il cui referendum avrebbe avuto luogo domenica 12 maggio. Ero stato minacciato dal vescovo di “sospensione a divinis”, cosa che avvenne qualche tempo dopo. Stavo battendo a macchina il programma di terza media per i lavoratori che frequentavano il corso serale di preparazione agli esami. La porta della canonica era sempre aperta. Horst salì le scale, si presentò sull’uscio della stanza dove scrivevo, richiamato dai colpi sulla tastiera. Puntò contro di me la pistola. Restammo per alcuni minuti in silenzio. Soli. Mi disse: “Ce l’ho fatta anche qui”. Un carcere, dove un’evasione sembrava inconcepibile. Vide un poster di Gramsci, lesse i nomi di Silone, Brecht, Remarque, Levi, don Milani, ecc. Si sentiva a suo agio. Parlammo da amici. Non da prete a delinquente, ma da fratello a fratello, come nell’incontro tra Jean Valjean e il vescovo Myriel ne “I Miserabili” di Victor Hugo. Capivo che, accanto a me, quasi coetaneo, non c’era un uomo in giaccone con pistola, ma un profondo innamorato della libertà. Di quella libertà da tutte le catene, che negano e distruggono la dignità della persona umana. L’evasione non era riuscita per l’assenza dell’automobile che avrebbe dovuto prelevarlo davanti al portone del carcere. Né io ne avevo una per accompagnarlo nella fuga. Ci abbracciammo e lo aiutai a nascondersi nella soffitta. Avvertii il medico del carcere e il cappellano. Arrivò un nugolo di carabinieri, poliziotti, giornalisti, tiratori scelti. Un comandante parlò di sparare all’evaso con bombe lacrimogene. Mi opposi e dirigendomi verso la soffitta della casa parrocchiale supplicai Horst a consegnarsi e a cedere l’arma. Tutto si risolse senza spargimento di sangue. Ma, quello stesso giorno, giovedì 9 maggio 1974, alle ore 9.50, nelle carceri di Alessandria, si era verificato un tentativo di evasione che, dopo 32 ore, alle 17.10 di venerdì 10 maggio 1974, si concluse con un tragico epilogo: 7 morti (5 ostaggi e 2 detenuti) e 16 feriti. Mario Setta

lunedì 1 ottobre 2012

Alessio Lega su Lo statuto dei gabbiani



Lo statuto dei Gabbiani.






























Oggi 1 ottobre alle 14 Horst in onda in tutto il circuito di Radio Popolare Network

Oggi 1 ottobre dalle 14 alle 15.30 andrà in onda per Jalla Jalla rubrica di approfondimenti culturali e recensioni di libri, “Lo Statuto dei gabbiani” di Horst Fantazzini a cura di Patrizia “Pralina” Diamante edizioni Milieu, potete trovare l’elenco delle Radio di Popolare Network che mandano in onda la trasmissione seguendo questo link:

horst nell'agosto del 2001

venerdì 7 settembre 2012

Una recensione di Eugen Galasso su Qui Bz


Eugen Galasso            




Non sono solita rispondere alle recensioni, l'amico giornalista e studioso Eugen Galasso ha scritto la sua, conoscendo bene tutta la storia, essendosi documentato, con interesse, con devozione e con stima. Mi limito a scrivere alcune note. Non sono sicura che Horst sia stato una sorta di Dottor Jekill e Mister Hyde, in quanto il suo modo di agire era sempre conforme ai suoi desideri, che avevano un'unica portata e una certa coerenza; nei confronti della sua coscienza egli era un individuo molto integro, molto umano, ed era consapevole delle sue azioni. Anche quando compì il tentativo di evasione a Fossano, ferì le guardie ma poi se ne dispiacque moltissimo e si preoccupò delle loro sorti, comportamento non proprio del criminale incallito, ma piuttosto del disperato che tenta il tutto per tutto, credendo di non avere nulla da perdere.
"Sai perché non faccio rapine con pistole vere? perché essendo così impulsivo, finirei per fare del male a qualcuno" mi disse un giorno, io stessa posso certificare la sua assoluta mancanza di cattiveria, la sua onestà caratteriale.
Semmai la metamorfosi era "necessaria" davanti a una società che è organizzata in modo da proteggere soltanto la proprietà dei ricchi ai danni dell'esistenza dei poveri, "necessaria" per compiere azioni non sempre comprensibili o quasi mai, dalle persone familiari... come ben sa il caro amico Eugen, che è studioso quindi ben documentato, nelle carceri non ci sono (tranne poche eccezioni) i pesci grossi, i grossi delinquenti, i palazzinari speculatori e mafiosi, i big degli evasori fiscali, e così via, ma prevalentemente piccoli pesci disperati, spesso stranieri, piccoli spacciatori che vendono le dosi ai figli di papà, piccoli "criminali" senza santi in paradiso, infatti le carceri sono piene di ladri di polli, e fra pesci e polli come dicono i detenuti "ladro piccolo non rubare che il ladro grosso ti fa arrestare" oppure "a rubare poco si va in galera, ma a rubare tanto si fa carriera"... mentre i colpevoli delle stragi italiane in questi decenni di strategia della tensione, restano impuniti. Tutto ciò ovviamente non riqualifica la rapina in quanto tale, che resta un'azione probabilmente esaltante da un punto di vista estetico (e molto bella nell'immaginario collettivo, alzi una mano chi in vita sua non ha mai pensato una sola volta nella vita di rapinare una banca!) ma del tutto inutile, con conseguenze spesso nefaste anche per lo stesso rapinatore, che credendo di arricchirsi o di sistemarsi, magari di sistemare anche i suoi cari, in realtà finisce per prelevare denaro "scottante" che dovrà rimettere in circolazione in breve tempo, favorendo la stessa delinquenza, nonché le stesse banche e i commercianti di oggetti e di beni di lusso, che sono ottenuti e mantenuti con lo sfruttamento. Insomma, paradossalmente anche le rapine arricchiscono i ricchi, mentre nella maggior parte dei casi non risolvono la povertà.
E' proprio qui, in questo nodo, e non nella condanna della rapina come azione illegale e criminale (c'è sempre la Banca che è più criminale del rapinatore, come dice Brecht, che non parla di banche di provincia, ma di sistema bancario sovranazionale), che dovremmo riflettere.
Da tempo, fin dalla mia relazione con Horst, sostenevo che la bellezza e la bontà delle cose non sta nel lusso, nello sfarzo, ma nell'essere delle stesse. Così come sostenevo che esistono anche lavori che possono piacere, non sempre e non obbligatoriamente il lavoro dev'essere umiliante. A tal proposito, stavo studiando una soluzione creativa, che rendesse giustizia alle doti artistiche di entrambi. Purtroppo, e qui lo dico con tutta sincerità, non abbiamo avuto nessuno che ci abbia aiutato in questo percorso, nemmeno i "compagni" che non hanno poi risparmiato pesanti giudizi (altro che sinistra benevolente), mentre il lavoro esterno per Horst era sempre più pesante a causa delle sue condizioni di salute, e pagato "a rate" dall'istituzione carceraria.
So benissimo come ci si può sentire, da persone povere, e quindi defraudate, umiliate costantemente, nei confronti delle classi ricche, ma non dobbiamo imitarle. E' un errore che hanno compiuto anche tanti piccolo borghesi, finendo per coprirsi di debiti. Lo stesso Horst in una intervista, affermava che tanti ragazzi si rovinano per la bella macchina o per altro. Non c'è nulla oltre questo tipo di apparenza. Non voglio dire che dobbiamo essere come San Francesco, ma nemmeno cedere alle lusinghe di un modo di vivere vuoto di contenuti e povero di relazioni umane autentiche, che dobbiamo lottare invece contro il capitale e contro le banche sottraendo liquidità alle stesse cioè facendo dilagare - ciò che le banche temono davvero - la GRATUITA'.
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Patrizia Diamante

Lo Statuto dei Gabbiani presto a... Bologna


giovedì 30 agosto 2012

Noi non pratichiamo la violenza, perché amiamo la VITA

Diranno sempre "Se avessi fatto, se avessi potuto..." diranno "Non ho più l'età per fare certe cose..." e poi "Quando ero giovane forse, ormai non posso più... a una certa età non si fa... alla mia età non sarebbe serio e conveniente farlo...", guarderanno con sospetto i vicini di casa, specialmente se sono stranieri oppure gay, disprezzeranno il lavoro che sono costretti a fare, odieranno i colleghi, sorrideranno al capo ufficio mentre pensano di volerlo morto, sopporteranno i familiari, metteranno le corna alla moglie e parleranno male del marito alle amiche, non sapranno mai che regali fare per Natale ma si metteranno in coda e in fila per ora per comperarli. Si riempiranno la bocca di luoghi comuni insulsi, frasi fatte, opinioni precotte televisive. Avranno mutui da pagare per tutta la vita, e una pensione sempre più lontana e difficile da raggiungere. Saranno vessati dalle banche e dagli strozzini legalizzati, perciò tenteranno la fortuna al gioco e si sputtaneranno i loro soldi e il loro tempo nel tentativo di realizzare una grossa vincita, qualcuno finirà per rovinarsi, ma tanto vale tentare e non pensare che l'unico a incassare certamente è il padrone. Si metteranno a dieta (o almeno annunceranno di averne intenzione) per essere omologati e rientrare nei parametri di normalità, ma torneranno di notte, di nascosto da tutti, a sognare magnifiche torte alla meringa e donne soffici e burrose coi seni e i fianchi generosi. Sogneranno sempre di cambiare vita, magari nei Caraibi, in un'isola nel Pacifico, ma alla fine sceglieranno solo vacanze organizzate o crociere condominiali. Qualcuno, preso da un raptus, ammazzerà la sua compagna, e forse anche i bambini. Perché la rabbia sorda e la frustrazione dei normali, che si ergono a giudici dei diversi, porta anche a questo. E c'è una misoginia profonda nella nostra "cultura". Noi non pratichiamo la violenza, perché amiamo la vita.

venerdì 10 agosto 2012

Recensione di Emanuele Berardi su Dazebao News

Nello “Statuto dei gabbiani” (Milieu edizioni) Pralina Diamante, ultima compagna di Horst, ricostruisce parte di un furia giudiziaria lunga quasi una vita mettendo insieme poesie, racconti e interviste provenienti dalle celle di Fantazzini e articoli di cronaca scritti fuori le mura di carceri in fiamme o tenute sotto mira da tiratori scelti. La storia giudiziaria del detenuto Fantazzini è un racconto fatto di lotte cruenti e “gallerie scavate verso la libertà”. Gesta di ribelli tenute segrete di una storia, quella delle rivolte carcerarie, relegata ai margini degli anni di piombo. Il merito dello “Statuto dei gabbiani” è anche questo; riportare alla luce le cronache di lotte carcerarie contro la detenzione dura del famigerato articolo 90 capace di annientare la dignità del detenuto fino a renderlo “carceriere di se stesso”. Il carcere duro di quegli anni è fatto di improvvisi trasferimenti tra istituti penitenziari da un capo all’altro dell’Italia, cure sanitarie negate o rallentate ai limiti dell’efficacia terapeutica, permessi di colloqui con familiari negati all’ultimo momento. Nel luglio del 1973, a Fossano, dopo essersi visto recapitare in cella altri trenta anni di carcere che ne azzeravano più di venti già scontati, decide di passare all’unica azione dura della sua vita. Ferisce due guardie penitenziarie, ne prende in ostaggio altre due e si barrica nell’ufficio del direttore chiedendo cinque milioni di lire per coprirsi la fuga e un’auto con motore e luci accese. Questa volta le armi saranno tutte vere; carabine di precisione, pistole a canne lunghe, mitra. Verrà crivellato di colpi. Abbattuto. Non sarà risparmiato nemmeno Alf, il cane poliziotto, sguinzagliatogli contro all’ingresso di quel sogno rombante targato Cuneo, disperso nella nube di proiettili del fuoco di Stato. Quella giornata finirà con il corpo del detenuto Fnatazzini stramazzato in una pozza di sangue nel cortile del carcere accanto alle ruote di una Giulia, con il respiro appena percettibile, la mandibola fratturata, l’udito perso ad un orecchio e diversi proiettili disseminati per il corpo che gli terranno compagnia ancora per lunghissimi anni.
Attraverso gli scritti del superdetenuto Horst Fantazzini si entra in punta di piedi, quasi timidamente, in un mondo addirittura silenzioso, dove le fiamme delle moka esplosive, le mani sporche di sangue dei sorveglianti armati impegnati nei pestaggi, e le pale degli elicotteri dei Ros in volo stazionario sui tetti delle sezioni occupate dalle proteste, sono voce e pelle di un inferno combattuto anche con poesia e quiete letteraria. La penna del vecchio leone in gabbia, che sembra scrivere per il carcere e (non) dal carcere, racconta, restituendo colpo su colpo, trenta anni di storia penitenziaria italiana semiclandestina. Dalle proteste estreme condotte al fianco di brigatisti (seppur mantenendo e difendendo con rigore le propria natura anarchica) agli anni ottanta, caratterizzati da dissociazioni di massa e dall’inarrestabile e dilagante fenomeno del pentitismo, responsabile ultimo della svendita di massa della dignità umana, fino ad arrivare all’ultima mano di grigio della droga, che oltre che a seminare vittime anche tra vecchi compagni di lotta, portò presto ad unire sotto lo stesso tetto consumatori e spacciatori “lobotomizzati”, distratti, lontani da qualsiasi realtà e percezione di essa, “ognuno con la propria scimmia sulle spalle”.
La storia di Horst Fantazzini, al di là dell’umana disperazione, dimostra, assieme a centinaia di altre storie, che oggi come ieri “le nostre istituzioni sono lassiste e permissive solo nei confronti dei petrolieri, degli intrallazzatori d’alto borgo, dei bancarottieri internazionali, dei dissipatori di danaro pubblico, dei golpisti neri, dei militari nostalgici”. Gente introvabile in qualsiasi penitenziario in quanto strutture non progettate ad accogliere questo genere di fauna.
Il 21 dicembre 2001, all’età di sessantadue anni, durante il suo primo natale da semilibero, Horst tenterà la sua ultima rapina in bicicletta con un cutter e un collant in tasca. Arrestato, e con l’accusa di terrorismo, finirà di nuovo dietro le sbarre dove morirà la sera del 24 nell’infermeria della Dozza. Il cronometro della sua detenzione si sarebbe forse arrestato nel 2022.
C’è da scommetterci che quella sera, il vecchio leone, saltando ad occhi chiusi il suo ultimo muro trovò, sotto un immenso cielo stellato, la Giulia targata Cuneo con le luci e il motore ancora accesi.
“Sono libero, bastardi!”